Solo la sentenza penale di condanna definitiva giustifica il licenziamento.

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La Corte di Cassazione, con sentenza 26 settembre 2007, n. 20159, ha evidenziato che il licenziamento di un dipendente in seguito a sentenza di condanna del tribunale penale, che può essere appellata, non è giustificato.

In altri termini, un datore di lavoro non può legittimamente licenziare un dipendente fino a quando la sentenza penale che lo riconosce colpevole di un reato e, conseguentemente, lo condanna non passa in giudicato, ovvero non è più impugnabile con i mezzi di impugnazione ordinari (ricorso in appello, ricorso per cassazione).

Nella sentenza citata, la Suprema Corte ha precisato che il rapporto di fiducia tra il datore ed il lavoratore, venuto meno in conseguenza della condanna penale di quest’ultimo, non può essere addotto come legittimo motivo di licenziamento, almeno fino a quando la sentenza di condanna non è definitiva.

La stessa Corte, infine, ha precisato che, per i reati commessi dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro o durante lo svolgimento delle proprie mansioni e per i quali lo stesso è stato condannato, il datore di lavoro non può intimare il licenziamento sulla base dell’esercizio del diritto di risoluzione del rapporto lavorativo in caso di condanna penale se la sentenza di condanna non è passata in giudicato. 

Nel caso in questione, un dipendente era stato licenziato perché non aveva osservato le procedure previste per una determinata attività. Il datore di lavoro giustificava il licenziamento sulla base della sentenza di condanna del dipendente in seguito al procedimento penale nei suoi confronti conseguentemente alla querela dello stesso datore di lavoro. 

Il licenziamento impugnato era stato intimato, secondo il datore di lavoro, in base al disposto di un articolo del CCNL applicato dall’azienda, il quale prevede la risoluzione cosiddetta “di diritto” del rapporto di lavoro, con conseguente licenziamento per giusta causa, ovvero senza preavviso, nei casi di sentenza penale di condanna di un dipendente per reati commessi contro il datore di lavoro o nello svolgimento delle proprie mansioni.

La disposizione contenuta nel suddetto CCNL, però, secondo la Suprema Corte, deve essere intesa nel senso che la risoluzione di diritto con conseguente licenziamento per giusta causa trova legittima applicazione solo dal momento del passaggio in giudicato della sentenza penale che riconosce la colpevolezza del dipendente e, conseguentemente, lo condanna.

La Corte di Cassazione, infatti, nella citata sentenza, ha chiarito che non è sufficiente la sentenza penale di condanna in primo grado per far sorgere il diritto alla risoluzione “di diritto” del rapporto di lavoro. 


Articolo a cura dell’Avv. Alessandra Messa

Sottocategoria   Licenziamento-dimissioni-  Pensioni- 

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