Irragionevole il calcolo dei compensi di riscossione su cartelle e intimazioni di pagamento di Equitalia.

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EquitaliaL’aggio esattoriale contrasta con le norme europee che vietano aiuti di Stato, e in quanto tale non è dovuto, anche se il contribuente rimane tenuto a versare i tributi sottostanti.

Premesse

La sentenza della I^ Sez. CTP Treviso, n. 325 del 12/09/2016 rinnova quelle speranze che la Corte Costituzionale (in due distinte occasioni), da un lato, e la Corte di Giustizia UE, dall’altro, avevano infranto, dichiarando rispettivamente l’infondatezza della questione di illegittimità e l’irricevibilità della domanda, rispetto all’art. 17 del D.lgs. 13/04/1999, n. 112, come sostituito dall’art. 32, comma 1, lett. a) del Decreto – Legge 29/11/2008, n. 185, da molti ritenuto illegittimo.

Il tema, dunque, è quello della legittimità (o meno) della misura (percentuale) dei compensi di riscossione, esposti da Equitalia, agente della riscossione, nelle cartelle e nelle intimazioni di pagamento, ove decorsi 60 giorni dalla notifica, al contribuente grava, oltre alla somma ingiunta, anche il saggio del 9%.
L’argomento è alquanto complesso, essendo stato alimentato da numerosi provvedimenti legislativi (l’ultimo dei quali si individua, salvo errori od omissioni, nel D.lgs 24/09/2015 n. 159) emanati, nel corso degli anni, per regolare aspetti disomogenei della materia.

In sintesi

In estrema sintesi, nella sentenza in commento, la Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, rispetto alle numerose eccezioni sollevate dal contribuente, volte a contrastare l’intimazione di pagamento notificata da Equitalia, si è concentrata sul “saggio di riscossione”, che – per usare le parole della commissione tributaria – “costituisce il compenso spettante al concessionario-esattore per l’attività svolta su incarico e mandato dell’ente impositore”.
Ciò che stride è appunto il criterio percentuale, quindi non necessariamente proporzionale, ovvero congruo, rispetto all’attività effettivamente prestata dall’esattore, il quale – a parità di attività svolte – riceverebbe un’ingiustificata remunerazione per tutte quelle cartelle di importo rilevante. In altri termini, maggiore è l’importo esatto, maggiore sarà il “compenso”, a prescindere dall’effettiva attività svolta.
L’assunto della CTR di Treviso è suggestivo anche perché potrebbe interessare un numero rilevante di controversie tributarie, aventi ad oggetto, appunto, l’impugnazione delle cartelle esattoriali e delle intimazioni di pagamento. Si rende, tuttavia, necessario precisare che, in ragione delle modifiche alle quali è stato sottoposto l’art. 17 D.lgs. n. 112 del 13/04/1999, occorrerebbe affrontare un distinguo ratione temporis.

La giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia UE

Non sono mancate, nel recente passato, pronunce delle Corti territoriali nazionali, di portata simile a quella della sentenza che si annota (ex multis Commissione tributaria provinciale di Torino, ordinanza del 18/12/2012 e dalla Commissione tributaria provinciale di Latina, ordinanza del 29/01/2013), attraverso le quali sono state evidenziate le storture di una tale scelta politica; la materia è stata, dunque, sottoposta alla Corte Costituzionale, la quale con ordinanza n. 147 del 09/07/2015, come anticipato nelle premesse, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione costituzionale, seppur con argomenti processuali (carenze nella descrizione della fattispecie), quindi senza entrare nel merito.
Il Giudice rimettente ha ritenuto che il criterio di calcolo dell’aggio di cui all’art. 17 D.lgs. n. 112 del 13/04/1999 comporterebbe, in particolare, la violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo del canone della ragionevolezza, in quanto risulta sganciato dal costo del servizio svolto dall’agente di riscossione e include, nella base di calcolo, anche gli interessi dovuti all’ente impositore titolare del credito di imposta. Ed ancora, il contrasto col principio di eguaglianza, ex art. 3 Cost., emergerebbe per differenza di trattamento tra il cittadino in grado di pagare «immediatamente» (e cioè entro il termine per la presentazione del ricorso), essendo, in tal caso, l’aggio dovuto dal contribuente pari al 4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo, e quello privo dei mezzi sufficienti per effettuare tale pagamento entro il predetto termine, il quale è tenuto a versare l’aggio interamente nella misura del 9 per cento.
Irragionevole risulterebbe l’applicazione dell’aggio di riscossione, poiché calcolato anche sugli interessi di mora.
Dopo aver esaminato questi aspetti, di per sé ricognitivi di una intrinseca illegittimità – a parere di chi scrive – la Corte Costituzionale, ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità della questione, stante l’omessa o insufficiente descrizione della fattispecie dedotta dal Giudice rimettente.
La disamina condotta dalla Corte Costituzionale – nel contraddittorio con la stessa Equitalia e la Presidenza del Consiglio, rappresentata dall’Avvocatura dello Stato – seppur abbia respinto la richiesta, con quelle motivazioni, lascia (ovvero lascerebbe) intendere che, la questione, opportunamente supportata da una descrizione compiuta del caso concreto, possa essere riesaminata.
La vicenda è stata sottoposta anche al vaglio della Corte di Giustizia EU, con analoghi (n.d.r. e deludenti) risultati, stante la declaratoria di irricevibilità del ricorso (cfr. Ordinanza del 27/02/2014). Il tema, in quella sede si è spostato su un diverso piano: la violazione dell’art. 107 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) – Nozione di “aiuto di Stato”.

Nelle premesse che si rinvengono nell’ordinanza della Corte di Giustizia UE, si richiamano le eccezioni spiegate dal ricorrente. La normativa nazionale non prevede un limite massimo per la remunerazione del servizio di riscossione, sicchè l’aggio, andandosi a sommare al debito fiscale, finirebbe per rappresentare una sorta di sanzione.

L’emolumento per la riscossione, inoltre, avrebbe una connotazione afflittiva e punitiva (estranea al rimborso delle spese di prestazione del servizio) e costituirebbe, ex lege, un vantaggio economico che non avrebbe ottenuto nel corso normale della sua attività: di qui la violazione del citato art. 107 TFUE.

Gli argomenti, tuttavia, per come sopra testualmente rappresentati, non avrebbero consentito alla Corte di Giustizia UE di poter verificare se la norma nazionale (l’art. 17 del D.lgs n. 112/1999) avesse (o meno) violato le disposizioni di cui all’art. 107 TFUE. Questioni di natura processuale, poi, avrebbero impedito la disamina della fattispecie, imponendo una reiezione del ricorso, ritenuto irricevibile.

Quanto sin qui dedotto (dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Giustizia UE) è stato recepito dalla CTR della Lombardia, che con sentenza n. 4.618 del 26/10/2015, ha rigettato l’appello del contribuente.

Gli effetti della sentenza della I^ Sez. CTP Treviso, n. 325 del 12/09/2016

La relazione di analisi tecnico-normativa accompagnatoria al citato D.lgs 24/09/2015 n. 159, ripercorre – con particolare riferimento all’attuale formulazione dell’art. 17, D.lgs. 13/04/1999, n. 112 – l’iter normativo e lo sviluppo della giurisprudenza, per come sinteticamente sopra ricordato. La predetta relazione, ispirata ai principi della Legge n. 23 dell’11/03/2014, di cui il citato D.lgs 159/2015 è l’emanazione, in certa misura giustifica la scelta legislativa, che lascia di fatto inalterato l’approccio di Equitalia, in punto ad oneri di riscossione.

Conclusioni

Occorrerà comprendere se gli effetti della sentenza in commento si pongano quale presupposto per una nuova disamina della materia, opportunamente acconciata, da parte della Corte Costituzionale, o più semplicemente inducano le Corti di merito ad un più coraggioso approccio.
Si auspica, infatti, come eloquentemente evidenziato anche nei ricorsi alla Corte di Giustizia, in ultimo, nuovamente investita, che il legislatore, accanto al criterio percentuale, ponga un tetto massimo ai propri “compensi”.

Articolo a cura dell’Avv. Andrea Migliavacca

Studio Legale Tributario Internazionale

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