L’abuso sessuale è un atto sessuale compiuto da un adulto a danno di un bambino che, per via del grado dello sviluppo fisico e mentale, non è ancora in condizione di acconsentire con cognizione di causa e liberamente all’atto stesso. L’adulto approfitta della grossa differenza, esistente nei rapporti di forza tra lui ed il bambino, per persuaderlo o costringerlo alla partecipazione. Inoltre, lo obbliga alla segretezza che condanna il bambino al silenzio, mettendolo così nell’impossibilità di difendersi e di chiedere aiuto. 

Per poter aiutare i bambini a non rimanere vittima degli adulti occorrerebbe addestrarli e fornire loro informazioni adeguate affinché possano proteggersi o rompere il muro di silenzio che li relega in una dimensione di sofferenza per il loro vissuto interiore, sentito come incomunicabile. Nel nostro Paese manca una cultura della prevenzione e della risposta nei confronti della violenza sessuale ai danni dei minori. Prevale, invece, una cultura della rimozione, della negazione o della delega, anche perché l’adottare l’atteggiamento di chi non vede, non sente, non parla in campo di abuso sessuale è comodo in quanto risparmia la fatica di dover affrontare qualsiasi comunicazione verbale sul proprio disagio sessuale e quello di un minore, specie se vittima dell’abuso. 

Spesso gli adulti si giustificano dicendo: “Non vogliamo turbare il bambino, affrontando esplicitamente con lui questo argomento così delicato e coinvolgente…” ma così facendo esprimono il loro imbarazzo dovuto soprattutto alla mancanza di adeguate conoscenze in tema di sessualità. Per superare questo “gap” occorrerebbe coniugare la sessualità con la parola, tenendo presente che la trasmissione delle informazioni deve essere connessa alla dimensione affettiva e relazionale. In quest’ottica, la prevenzione contro gli abusi, cessa di essere un iter burocratico e diventa uno strumento prezioso. 

La prevenzione potrà pertanto essere primaria, cioè atta a prevenire il disagio concernente la sfera sessuale; potrà essere secondaria laddove un minore è portatore di problematiche sessuali a rischio e terziaria nel momento in cui i minori sono risultati già essere vittime di violenza e in questo caso possono essere aiutati a rompere il muro di silenzio, a elaborare il senso di colpa che ne deriva o ad interrompere la spirale dell’abuso qualora essa sia ancora presente. Prima, però, di poter aiutare i minori sul problema dell’abuso sessuale nell’infanzia dobbiamo smantellare una serie di miti, credere ai quali rende difficile fermare o prevenire l’abuso. 

Un mito è quello che non occorre preoccuparsi dell’abuso sessuale nell’infanzia perché si crede che non succeda molto spesso. Un numero svariato di ricerche riporta invece che 3-4 bambini su 10 (sia maschietti che femminucce) vengono molestati sessualmente, in qualche modo, prima che raggiungano la maggiore età. 

Un altro mito è quello che i bambini si siano inventati di aver subìto una molestia. I bambini invece non mentono o non fantasticano sull’essere sessualmente abusati. Prima di tutto, parlano a seconda delle esperienze che vivono, e non possono inventarsi informazioni a cui non sono stati sottoposti. In secondo luogo, i bambini non raccontano storie che potrebbero essere potenzialmente imbarazzanti per loro. 

“Parlare di abuso sessuale serve solo a spaventare i bambini” è un altro mito da sfatare. Parlare di sicurezza rispetto all’acqua non toglie ai bambini la voglia di nuotare, ma insegna loro i possibili pericoli e come evitarli. Per la propria sicurezza, dare informazioni ai bambini sulle molestie sessuali è importante quanto insegnare loro a stare attenti con il fuoco, l’acqua o per strada. Sono la mancanza di informazioni o le informazioni inaccurate che spaventano di più i bambini. “E’ colpa loro se lo sono cercato” è un altro mito che riguarda l’abuso. Invece se succede non è colpa della vittima, perché nessuno ha il diritto di ferire l’altro. E’ l’abusante, e non la vittima, ad essere colpevole. 

“Ciò che è successo non è così grave. I bambini lo superano”. Anche se l’abuso sessuale è “non violento”, spesso implica un genere sottile di violenza o di inganno. L’abuso è inoltre psicologicamente dannoso sia per la vittima che per la sua famiglia. Come risultato, la vittima spesso soffre a livello emotivo. Alcune conseguenze potrebbero essere la perdita dell’autostima, la confusione, la depressione, il senso di colpa e l’ambivalenza verso la propria sessualità. 

“Mio figlio ha 6 anni ed è troppo piccolo per ascoltare informazioni sull’abuso” è infine l’ultimo dei miti da sfatare. Una volta sfatati questi miti, la cosa migliore da fare è informare i bambini del problema dell’abuso sessuale. Non bisogna aver paura di dipingere loro un mondo cattivo e crudele, fatto di adulti che approfittano di loro, ma occorre saper comunicare che la sessualità è piacevole e connessa all’amore, e che può assumere, in alcune situazioni, strane connessioni con la violenza e con l’inganno. Insegnare e soprattutto comunicare e raccontare la realtà ai bambini significa renderli consapevoli dei “segnali di pericolo” e far loro conoscere cosa possono fare per prevenirli (prevenzione primaria). 

I bambini in età prescolare non sono pronti per discutere in dettaglio sull’argomento, ma, al contrario, possono imparare come i propri sentimenti ed emozioni possono aiutarli a prendere decisioni che riguardino il proprio corpo, e a comunicare queste decisioni agli altri. Questo tipo di apprendimento serve come primo passo vitale per proteggersi dall’abuso sessuale. Scopo principale della prevenzione secondaria è far comprendere ai bambini, prima di tutto, che se hanno un problema, non importa quanto grande o piccolo, ci sono persone (sistema di supporto) che possono aiutarli. Secondo, devono sapere che l’abusante, a volte, potrebbe essere un loro conoscente di cui hanno fiducia. 

Infine i bambini vittime di abuso devono sapere che “ciò che è successo” non è colpa loro, che non sono soli e che dovrebbero raccontare a qualcuno l’accaduto (prevenzione terziaria). Tale ottica permette al soggetto in età evolutiva di accedere con un proprio discorso alla sessualità, che non rappresenta la sottomissione del “corpo” e dei “piaceri” ad un dominio estraneo adulto, ma, grazie all’intervento di adulti empatici, incoraggia la costruzione di una sessualità soggettiva e soddisfacente. Ciò passa attraverso l’acquisizione del diritto di dire N0 agli adulti che fanno richieste alle quali non si voglia acconsentire. 

E’ necessario, quindi, che tutti i soggetti in età evolutiva vengano preparati, in modo che non siano lasciati in balia di se stessi, ed evitino così di vivere l’esperienza traumatica dell’abuso. Occorre quindi prepararli perché imparino ad impedire che questo tipo di esperienza invada il proprio mondo interno e destabilizzi il proprio equilibrio intrapsichico.

Scritto dalla Dott. Loredana B. Petrone (Psicologa-psicoterapeuta e sessuologa) e tratto dal sito del movimento italiano genitori.

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