E’ ormai riconosciuta la rilevanza assunta dalle cosiddette “famiglie di fatto”, ossia quei nuclei formati da coppie non sposate che convivono stabilmente, e nelle quali possono essere presenti o non dei figli.

Al di là del dibattito etico e sociale, già in atto da molti anni, in merito all’emersione di questa nuova forma di aggregazione familiare, interessa approfondire quali sono gli strumenti giuridici di tutela.

Nel nostro ordinamento, la famiglia di fatto non è riconosciuta come entità giuridica, pertanto la dottrina riconduce tale figura a tre diversi orientamenti: all’applicazione analogica delle norme previste per la famiglia legittima, agli strumenti in materia di autonomia privata oppure auspica l’introduzione di un’apposita legislazione.

In altri Paesi, ad esempio in Francia esistono forme convenzionali di regolamentazione tra privati che decidono di non optare per il matrimonio e nei Paesi di Common Law, ad esempio in Inghilterra, si utilizzano dei contratti che disciplinano in modo articolato i rapporti personali e patrimoniali tra i conviventi.

In materia incidentale, alcune leggi speciali italiane fanno riferimento alla cosiddetta convivenza more uxorio, disciplinando profili penali, aspetti fiscali, assicurativi, previdenziali e assistenziali, o inerenti alla materia abitativa.

Tra questi, alcuni esempi possono trarsi dall’art. 3 della legge n. 354/1975 sull’ordinamento penitenziario, che consente al detenuto di ottenere il permesso per visitare un familiare o il convivente in pericolo di vita.

L’art. 1 della legge n. 405/1975, che istituisce i consultori familiari, ammette a fruire del servizio non solo le famiglie riconosciute dalla legge, ma anche le coppie di fatto.

Infine, in materia di adozioni, l’art. 2 della legge n.184/1983, che introduce l’affidamento familiare del minore temporaneamente sprovvisto di un ambiente familiare idoneo, ammette anche la famiglia di fatto ad espletare le funzioni di nucleo provvisorio di accoglienza.

Con riferimento ai rapporti personali, ricordiamo che tra i conviventi non sussistono i diritti e doveri reciproci di coabitazione, fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione e contribuzione che sorgono in capo ai soggetti che contraggono matrimonio.

I loro rapporti non sono, quindi, oggetto di tutela della legge e rimangono regolati, al massimo, da accordi privati intercorsi tra gli stessi all’atto della convivenza.

I rapporti patrimoniali tra conviventi, così come i primi, non trovano nell’ordinamento giuridico italiano, alcun riconoscimento; ad esempio, gli acquisti compiuti da uno dei conviventi non potranno mai divenire di proprietà anche all’altro, come avviene nell’ambito della famiglia legittima.

Medesimi problemi si presentano, nel caso di diritti successori tra i conviventi, anche in questo circostanza nessun diritto è configurabile per il convivente superstite in caso di morte dell’altro.

Una serie di considerazioni rende, tra l’altro, inapplicabile alla convivenza more uxorio, la disciplina prevista per la famiglia legittima.

Gli strumenti, in possesso, dunque, dei conviventi che intendono in qualche modo regolamentare specifici aspetti della loro unione, risiedono fondamentalmente in schemi contrattuali tipici o atipici.

A proposito di contratti tipici, in relazione alla convivenza more uxorio, negli ultimi anni sono stati predisposti dai notai, modelli contrattuali idonei ad una regolamentazione della famiglia di fatto, si parla, appunto di contratti di convivenza.

Tali atti dispongono una serie di regole pratiche, vincolanti per i futuri rapporti tra i conviventi oppure di carattere dispositivo, in merito a particolari questioni di natura patrimoniale, quali il dovere di reciproca contribuzione, le spese comuni, l’abitazione familiare e la cessazione della convivenza.

Il contratto di convivenza non dà origine alla famiglia di fatto, ma ne disciplina soltanto le modalità di svolgimento da un punto di vista patrimoniale e mai personale.

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