Al lavoratore viene riconosciuto, come noto, il diritto a lavorare in luoghi ed ambienti protetti. La normativa di cui al Dlgs 626/94 si occupa, in recepimento alle direttive comunitarie del settore, della sicurezza, della tutela della salute dei lavoratori. 

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In ossequio al fondamentale riconoscimento del generale diritto alla salute di ogni persona, al lavoratore viene riconosciuto anche il particolare diritto a lavorare in luoghi ed ambienti protetti, nel senso di luoghi che possiedano requisiti quanto meno minimi di sicurezza e salubrità. 

La sorveglianza sanitaria prevista dal D.Lgs. 626/94 è essenzialmente in funzione della sicurezza sul luogo di lavoro laddove siano presenti rischi e pericoli ovvero fonti materiali di rischio nell’ambiente di lavoro (esposizione a rischi chimici, radiologici, batteriologici, igienici ecc.). Essa è demandata ai sensi dell’art. 16 al medico competente, il quale ha il compito di intervenire quando il luogo di lavoro, quale ambiente fisico, presenta dei rischi concreti per il lavoratore, perché si è in presenza di pericoli rappresentati da sostanze nocive, macchinari pesanti, strutture inadeguate o insalubri ecc. Tale soggetto costituisce figura alle dipendenza dell’azienda o comunque strettamente relazionato al datore di lavoro (promana, cioè, da una figura legata al datore di lavoro o, quanto meno, contigua all’organizzazione aziendale – giusta l’art. 17 D.Lgs cit.). 

La sorveglianza demandatagli concerne la sola mansione specifica d’inquadramento del lavoratore: l’art. 17, comma 1, lett. c, del D.Lgs. 626/94 prevede che il medico competente “esprime i giudizi di idoneità alla mansione specifica al lavoro, di cui all’art. 16”.

L’art. 16 del D.Lgs. n. 626/1994 statuisce che la sorveglianza sanitaria – che viene eseguita nei casi previsti dalla normativa vigente – è effettuata dal medico competente e comprende:

a) accertamenti preventivi intesi a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati, ai fini della valutazione della loro idoneità alla mansione specifica; 
b) accertamenti periodici per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica.

Il medico competente, tra gli altri compiti, ex art. 17:
· effettua gli accertamenti sanitari di cui all’art. 16; 
· collabora con il datore di lavoro nel servizio di prevenzione e protezione e alla predisposizione del servizio di pronto soccorso;
· istituisce e aggiorna la cartella sanitaria e di rischio dei lavoratori;
· informa i lavoratori sugli accertamenti sanitari eseguiti. 

All’esito degli accertamenti soggettivi il medico competente esprime un giudizio sull’idoneità o meno del lavoratore alla mansione specifica. Qualora esprima un giudizio di inidoneità parziale o temporanea o totale del lavoratore, ne informa il datore di lavoro e il lavoratore, comunicando l’esito per iscritto (art. 17, comma 3). In caso di comportamento omissivo del suddetto obbligo si configura, ai sensi dell’art. 92 comma 1 lett. b), una vera e propria responsabilità penale in capo allo stesso. 

Avverso il giudizio del medico competente è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla comunicazione del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente competente (istituito presso le ASL) che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.

Il giudizio di inidoneità totale e permanente non comporta, poi, un’automatica risoluzione o cessazione del rapporto di lavoro, che costituisce soluzione estrema. Sul punto, la Cassazione a sezioni Unite n. 7755 del 1998 ha stabilito che il datore di lavoro prima di procedere al licenziamento del lavoratore dichiarato inidoneo dal medico competente debba esperire qualsiasi tentativo utile al fine di collocare il lavoratore in mansioni confacenti alle sue residue capacità lavorative. Non può ravvisarsi un’impossibilità costituente causa di risoluzione del contratto, e più precisamente giustificato motivo di recesso del datore, qualora il lavoratore, pur definitivamente inidoneo all’attività attualmente svolta, possa nondimeno svolgerne un’altra compresa nella stessa mansione o in mansioni equivalenti. 

Nel caso in cui mancasse effettivamente una mansione alternativa all’interno della struttura aziendale risulterebbe comunque e in modo assoluto l’obbligo del datore di lavoro di motivare la decisione di risoluzione del contratto attraverso prova dell’impossibilità di affidare al lavoratore mansioni compatibili con la patologia a quest’ultimo diagnosticata dal medico competente.

Articolo scritto dalla Dr.sa Francesca Orefice
email francescaorefice@tim.it

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