L’art. 2120 c.c. contenente la disciplina del trattamento di fine rapporto, così sostituito ad opera dell’art. 1 della legge 297/1982, prevede per il prestatore di lavoro la possibilità di richiedere un’anticipazione del trattamento di fine rapporto spettante.

La normativa è di per se, univoca nello stabilire, condizioni e casi in cui, tale previsione diviene effettivamente realizzabile.
Presupposto imprescindibile è, innanzitutto, il protrarsi dell’attività lavorativa presso lo stesso datore di lavoro, per un periodo minimo di otto anni e tale richiesta non può essere superiore al 70% del TFR totale spettante.

Ciò che caratterizza tale disposizione normativa, è indubbiamente il carattere di necessità e straordinarietà come prerogativa della richiesta di anticipazione TFR. La stessa può essere domandata una sola volta, nel corso del rapporto di lavoro.

Il datore di lavoro procede annualmente alla liquidazione delle richieste pervenute, entro i limiti del 10% degli aventi diritto e nei confronti di un numero di dipendenti che non oltrepassi la soglia del 4% dei dipendenti in forza.

Si sottolinea che, una volta corrisposta l’anticipazione, tale importo sarà necessariamente detratto dal TFR spettante al lavoratore, al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

La legge fa espressa menzione delle circostanze nelle quali il lavoratore può richiedere l’anticipazione del TFR: in caso di spese sanitarie per terapie o interventi, ritenuti dalla legge necessari e straordinari,oppure di fronte all’eventualità di acquisto di prima casa per sé o per i propri figli, documentato con atto notarile.

Al di fuori delle ipotesi menzionate, l’ultimo comma dell’art. 2120 c.c. consente la possibilità di condizioni più favorevoli nei contratti collettivi o nei patti individuali.

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